(di Alessandro Bedin) Lo scorso 6 gennaio “Il Giornale di Vicenza” ha pubblicato un articolo polemico sugli alberi tagliati per evitare esondazioni del Chiampo (“Abbattuto un parco di pioppi, ciliegi e aceri di 40 anni. I Comuni: «Motivi di sicurezza»”). L’articolo lamentava, per l’appunto, un eccessivo abbattimento di alberi, da un lato, e la sua giustificazione, dall’altro, in quanto operazione indispensabile per garantire il deflusso idraulico delle acque piovane a tutela delle zone residenziali e produttive della zona. Riguardando un argomento trattabile a livello generale è forse utile stimolare una più approfondita riflessione.
Le problematiche. Bisogna assolutamente convenire che il mantenimento della pulizia degli alvei e degli argini di fiumi, capofossi e fossi è indispensabile per garantire un corretto deflusso della rete scolante e come, questo, in passato, fosse un’attività molto considerata ed attuata. Da tutti: sia dal pubblico che dai privati. Tale attività, però, è andata gradualmente a ridursi o a estinguersi con una tendenza inversamente proporzionale alla impermeabilizzazione del suolo che si è avuto negli ultimi decenni. Un altro dato di fatto è che gli alberi (spesso nati) sugli argini dei fiumi con la loro crescita e l’effetto vela delle chiome sono causa della destabilizzazione degli argini.
Il risvolto positivo. C’è da considerare, però, gli altri effetti benefici dovuti alla vegetazione riparia, come quella degli arbusti con radici fascicolari, che aiutano a mantenere (invece) la stabilità degli argini stessi; che la presenza di un’adeguata fascia arboreo arbustiva lungo i corsi d’acqua apporta una serie di benefici ambientali (disinquinamento delle acque, riduzione della temperatura dell’acqua…), fondamentali anche in funzione del deflusso idrico. Questo, infatti, non è garantito da una assenza totale di vegetazione con aumento della scabrezza e quindi velocizzando l’acqua verso valle.
Abbattere o tutelare? I fiumi, i capifossi e i fossi, non sono (e non debbono essere considerati) dei condotti fognari per portare (spesso spostare) i problemi più a valle. Approfonditi studi scientifici hanno convalidato che un assetto più naturalistico dei corsi d’acqua, con le giuste attenzioni per le criticità e le manutenzioni da compiere, è da perseguire. Forse, come sempre, si tratta di non avere posizioni estreme né da una parte né da un’altra. O è tutto bianco o è tutto nero: o si debbono abbattere tutti gli alberi o bisogna tutelarli in assoluto.
Pagliuzze e travi. Forse sono più corrette le sfumature di grigio che ci indicano (come anche espresso dalle linee guida dettate dalla Regione Veneto con D.G..R.V. n. 3357 del 10/11/2009 e successivo Manuale tecnico realizzato da Veneto Agricoltura) che è necessario operare con scienza e conoscenza, moderazione e rispetto. Difficile sostenere, in assoluto, che il problema del deflusso delle acque è dovuto alla vegetazione presente negli argini (la pagliuzza) dimenticandoci che l’impermeabilizzazione del suolo (la trave) è un aspetto sicuramente di maggior impatto e che quest’ultimo è invece mitigato dall’effetto degli apparati radicali degli alberi che aiutano ad infiltrare nelle falde profonde le acque meteoriche.
Buon senso e conoscenza della problematica. Bisogna poi considerare che la moderna selvicoltura urbana non riguarda la tutela assoluta e indiscriminata degli alberi ma è una complessa attività (volta a farci vivere meglio) che riguarda anche il rinnovo della popolazione arborea considerando, quindi, anche interventi di abbattimento necessari. Con scienza, conoscenza, moderazione e rispetto. C’è infine da considerare che un corretto assetto della vegetazione riparia può apportare anche benefici economici in relazione alle green ways lungo la rete scolante grazie anche all’uso dei cosiddetti “Contratti di Fiume”, come, ad esempio, il Contratto di Fiume Basso Piave.
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