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31 marzo 2023, Argav studia la crescente resistenza agli antibiotici, al Wigwam di Arzerello (PD) il corso di formazione giornalisti “Antibiotico-resistenza, una sfida al confine tra uomo, animali e ambiente”, iscrizioni piattaforma Sigef entro il 30 marzo

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Stasera, venerdì 31 marzo p.v., dalle 18.30 alle 20.30, al circolo Wigwam di Arzerello di Piove di Sacco (PD) si svolgerà il corso di formazione accreditato dall’Ordine dei giornalisti, organizzato da Argav in collaborazione con l‘IZSVe (Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezia) e che affronterà il tema “Antibiotico-resistenza, una sfida al confine tra uomo, animali ed ambiente”.

Di cosa si parlerà. A partire dalla seconda metà del XX secolo, lo sviluppo e l’impiego degli antimicrobici, nel linguaggio comune antibiotici, ha rivoluzionato l’approccio al trattamento e alla prevenzione delle malattie infettive e delle infezioni, permettendo l’evoluzione della medicina moderna. Questi farmaci vengono utilizzati per eliminare batteri o per impedirne la crescita e la diffusione. Alcuni batteri, però, presentano naturalmente oppure hanno acquisito nel tempo, meccanismi che permettono loro di difendersi, sopravvivere e moltiplicarsi anche in presenza di antibiotici. Il fenomeno si definisce antibiotico-resistenza (AMR, Antimicrobial resistance) e rappresenta un problema per la salute pubblica a livello mondiale, poiché la medicina umana e veterinaria avrà a disposizione sempre meno antibiotici, o meno efficaci, per contrastare le possibili infezioni microbiche. Con gli esperti dellIstituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie sarà tracciato lo stato dell’arte di questo problema complesso, poiché ha diverse cause, tra cui l’aumentato uso di questi farmaci, a volte inappropriato, sia in medicina umana che veterinaria, e l’uso degli antibiotici in zootecnia ed agricoltura.

Relatori. Ore 18:30 Carmen Losasso, responsabile del Laboratorio di Ecologia Microbica e Genomica dei microrganismi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), “L’AMR, una questione ecologica” Ore 19:30 Fabrizio Agnoletti, medico veterinario, direttore del Dipartimento di patologia animale e sanità pubblica e della struttura complessa SCT4 – Friuli Venezia Giulia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) “Il problema delle resistenza batterica agli antimicrobici: utilizzo degli antibiotici negli animali e rischio di trasmissione di batteri multiresistenti all’uomo”. Il corso dà diritto ai giornalisti partecipanti 2 crediti, obbligatoria l’iscrizione sulla piattaforma Sigef entro il 30 marzo p.v.

Convivio post incontro. Al termine dell’incontro di formazione ed informazione avrà luogo la consueta serata conviviale ARGAV–Wigwam, in cui si potranno degustare le birre dell’Oasi della Brussa, prodotte dal Birrificio artigianale B2O, i vini col fondo agricolo e Prosecco Valdobbiadene DOCG di Freeco, cichetti del Consorzio I Buoni Convivi e torte salate dell’Agriturismo Corte delle Giuggiole, aziende delle Comunità Locali Wigwam del Veneto. Non è previsto un costo di partecipazione, ma solo essere in regola con le quote associative ad ARGAV e/o FNSI e all’Associazione Wigwam, con possibilità di rinnovo o nuova iscrizione da regolarizzare anche nell’occasione. L’accettazione di partecipanti sarà fino ad esaurimento dei posti disponibili. Info e prenotazioni: arzerello@wigwam.it WhatsApp +39 333 3938555

Direttivo. Il corso sarà preceduto dal Direttivo Argav, che si riunirà alle 16:45.

EFSA, ECDC, EURL: focolai di influenza aviaria nei volatili, basso il rischio per la popolazione

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La situazione relativa all’influenza aviaria continua ad evolvere in Europa e nel mondo, con nuovi focolai segnalati negli uccelli e occasionali infezioni nei mammiferi. Infezioni umane sporadiche sono state segnalate al di fuori dell’UE, dove il rischio per la popolazione rimane basso, secondo l’ultimo report sull’influenza aviaria dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e del Laboratorio di riferimento dell’UE per l’influenza aviaria (EURL) presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie.

 I virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) hanno causato un aumento dei casi negli uccelli selvatici, in particolare nei gabbiani, nell’UE e sporadiche ma continue infezioni nei mammiferi. Il numero di focolai nel pollame tra dicembre 2022 e marzo 2023 nell’UE è diminuito rispetto al picco raggiunto nel novembre 2022. Una mortalità di massa anomala nei gabbiani è stata osservata in paesi come Francia, Belgio, Paesi Bassi e Italia. Il rischio di infezione nel pollame potrebbe aumentare nei prossimi mesi man mano che i gabbiani si spostano verso l’entroterra, con la possibilità che raggiungano aree di produzione avicola. Strategie di prevenzione efficaci dovrebbero essere attuate in queste aree.

Sorveglianza dei mammiferi suscettibili. Mutazioni associate all’adattamento genetico ai mammiferi sono state rilevate in alcuni dei virus circolanti sia nei mammiferi sia negli uccelli. Inoltre, i recenti eventi di mortalità di massa in mammiferi come i leoni marini suggeriscono una potenziale trasmissione del virus HPAI tra mammiferi. In questo contesto, gli scienziati dell’EFSA e dell’EURL raccomandano di estendere e rafforzare la sorveglianza nei mammiferi selvatici e d’allevamento, in particolare visoni e maiali, nelle aree a rischio in cui è presente l’HPAI.

Basso rischio per la popolazione generale. Sebbene siano state segnalate sporadiche infezioni di influenza aviaria nell’uomo, che possono causare malattie gravi ed avere esiti fatali, le infezioni umane rimangono un evento raro. La maggior parte delle gravi infezioni umane segnalate di recente da paesi al di fuori dell’UE sono state correlate all’esposizione non protetta a pollame malato e morto, in particolare negli allevamenti familiari o rurali. I virus circolanti si legano preferibilmente ai recettori di tipo aviario presenti negli uccelli e non ai recettori di tipo umano, e sono suscettibili agli antivirali. Il rischio per la popolazione generale in Europa è valutato come basso, e da basso a moderato per i lavoratori e altre persone a contatto con uccelli e mammiferi potenzialmente infetti e morti. L’ECDC, l’EFSA e l’EURL raccomandano l’uso appropriato dei dispositivi di protezione individuale in caso di contatto con i volatili. Le persone esposte a uccelli o mammiferi infetti dovrebbero essere sottoposte a test diagnostici e successivo monitoraggio, al fine di identificare tempestivamente potenziali casi di trasmissione.

Fonte: Servizio comunicazione IZSVe

Influenza aviaria H5N1/HPAI in un allevamento di visoni in Spagna ad alta patogenicità, nessun pericolo per l’uomo ma alta la soglia di attenzione

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I ricercatori del Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, in collaborazione con i colleghi del Laboratorio di referenza nazionale per l’influenza aviaria spagnolo di Madrid (Spagna) e le autorità sanitarie spagnole, hanno identificato un virus influenzale aviario H5N1 ad alta patogenicità (HPAI) in un allevamento di visoni da pelliccia nel nord ovest della Spagna. I risultati delle indagini epidemiologiche, cliniche e genetiche sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Eurosurveillance. I fatti risalgono ad ottobre 2022, quando a seguito di un aumento improvviso della mortalità registrato in un allevamento di visoni, alcuni campioni prelevati da animali sintomatici sono stati inviati ai laboratori spagnoli per gli accertamenti analitici. Le analisi hanno permesso di rilevare la presenza del virus H5N1/HPAI.

Al momento è ignoto il meccanismo di introduzione e diffusione del virus in azienda. Tuttavia, considerate le mortalità riscontrate nei volatili selvatici marini nelle settimane precedenti nella stessa regione, causate dal virus H5N1/HPAI, i ricercatori ipotizzano che il virus sia stato introdotto dagli uccelli selvatici. Restano da approfondire i meccanismi di diffusione del virus in azienda e le modalità di trasmissione tra i visoni. Ulteriori studi sono in corso per caratterizzare la virulenza e la trasmissibilità del virus.

Le analisi genetiche hanno consentito di stabilire che il virus appartiene ad un gruppo virale ben conosciuto, responsabile della grave epidemia di influenza aviaria in atto da oltre due anni nei volatili domestici e selvatici in Europa e nel mondo. Sebbene il virus identificato nei visoni si distingua dai ceppi finora descritti nei volatili europei per alcune mutazioni presenti nel suo genoma, si sottolinea che nessuna delle mutazioni rilevate è fra quelle note per rendere un virus H5N1/HPAI trasmissibile efficacemente da uomo a uomo. Gli autori hanno inoltre evidenziato che nessun caso di infezione è stato riscontrato dalle indagini diagnostiche specifiche effettuate dalle autorità sanitarie spagnole negli operatori dell’azienda potenzialmente esposti.

La suscettibilità dei visoni all’infezione con i virus influenzali tipo A umani ed aviari è già stata documentata in diversi studi precedenti. Tuttavia, il caso descritto ricorda l’importanza di implementare adeguati piani di sorveglianza per i virus influenzali in questo settore produttivo e l’assoluta necessità di rafforzare le misure di biosicurezza per prevenire il contatto con i volatili selvatici ed evitare il verificarsi di eventi di trasmissione di virus influenzali dal visone all’uomo e viceversa. “Questo evento ci ricorda che il virus influenzale aviario ad alta patogenicità H5N1 non è un problema solo dei volatili – sottolinea Isabella Monne, veterinario del Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria presso l’IZSVe e coautrice dello studio – È in atto un’emergenza epidemica globale, senza precedenti, che non sconvolge solo la produzione avicola ma che sta colpendo gravemente molte specie di volatili selvatici e sporadicamente anche di mammiferi selvatici, minacciando gravemente la biodiversità del nostro pianeta. La continua circolazione del virus nella popolazione selvatica e le mortalità massive causate dal diffondersi dell’infezione in alcune specie rischia di sbilanciare ulteriormente gli ecosistemi con conseguenze ignote anche sulle dinamiche evolutive del virus. Anche questa emergenza va affrontata con un approccio One Health, globale e multidisciplinare, con la massima attenzione e prontezza, come abbiamo cominciato a capire grazie alla lezione della pandemia da Covid-19. Un virus influenzale capace di causare lospillover nei mammiferi va fermato prima di diventare un problema per la sanità pubblica”.

Fonte: Servizio stampa IZSVe

Influenza aviaria, Sars-CoV-2 e West Nile: la ricerca scientifica riparte dalle emergenze sanitarie, ma ha bisogno di finanziamenti

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La ricerca scientifica riparte dalle emergenze sanitarie che hanno segnato il 2022: influenza aviaria, Sars-CoV-2 e West Nile. Il nuovo anno si preannuncia ricco di sfide scientifiche per l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, che ieri ha presentato i nuovi progetti di ricerca in partenza nel 2023, in presenza del direttore generale Antonia Ricci, del direttore sanitario Gioia Capelli, del direttore del Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria Calogero Terregino e della ricercatrice del Laboratorio di genomica e trascrittomica virale Alice Fusaro (nella foto in alto, un momento dell’incontro stampa).

Le attività di ricerca si concentreranno su settori specifici che hanno come obiettivo generale il contrasto alle malattie infettive e i rischi emergenti. “La pandemia di Covid-19, l’influenza aviaria e la West Nile ci hanno insegnato che il contrasto alle malattie infettive è possibile solo con un approccio integrato One HealthIl nostro ruolo come IZSVe è di preservare questo delicatissimo equilibrio fra uomo, animali e ambiente, che rappresenta una sfida scientifica di grandissimo valore per i nostri ricercatori, ma che andrebbe adeguatamente finanziata da parte delle istituzioni, ben oltre lo 0,32% stanziato coi fondi del Piano Complementare al PNRR. La sanità pubblica veterinaria italiana è un’eccellenza del sistema sanitario nazionale che merita di essere riconosciuta e sostenuta, non solo per la lotta alle malattie infettive che hanno un impatto diretto sull’uomo, ma anche per il fondamentale ruolo di tutela della salute animale e della sicurezza alimentare”, ha detto il dg Antonia Ricci.

L’ondata di influenza aviaria ad alta patogenicità che ha investito l’Europa a partire dall’autunno del 2020 costituisce una priorità sanitaria per tutto il continente e una sfida scientifica senza precedenti, soprattutto per le implicazioni sulla filiera avicola e la fauna selvatica e per i rischi associati al potenziale zoonotico del virus. È questa la motivazione alla base di Kappa-Flu, il progetto di ricerca internazionale finanziato dalla Commissione europea per 7 milioni di euro, della durata di quattro anni, che coinvolge sette partner fra cui l’IZSVe. Coordinato dall’Istituto Friederich-Loeffler (Germania), insieme all’Erasmus University Medical Center (Paesi Bassi), KAPPA-FLU nasce sulle orme del progetto europeo Horizon 2020 Deltaflu, che ha coinvolto anche IZSVe e si è concluso lo scorso novembre. Del precedente progetto, Kappa-blu mantiene il focus sull’influenza aviaria e l’organizzazione del consorzio scientifico ma si sviluppa su obiettivi diversi volti a comprendere i cambiamenti epidemiologici, ecologici e patogenetici che caratterizzano l’epidemia H5 HPAI che da più di due anni affligge il settore avicolo e la popolazione selvatica aviaria europei. Il progetto è concepito con uno spirito pragmatico in linea con le strategie “Farm to Fork” della Commissione europea, che puntano a sviluppare sistemi di prevenzione e controllo delle malattie degli animali efficaci e sostenibili nel tutelare contemporaneamente la sicurezza alimentare, la filiera produttiva e la salute pubblica. Le attività dell’IZSVe riguardano tre filoni di ricerca: comprendere le dinamiche ecologiche ed evolutive del virus, sviluppare una piattaforma di fenotipizzazione rapida, potenziare gli strumenti dell’epidemiologia predittiva.

Sorveglianza genetica varianti SARS-CoV-2. Prosegue l’attività di sorveglianza delle varianti di SARS-CoV-2, coordinata dall’Istituto superiore di sanità (Iss). I risultati degli ultimi mesi riportano che il 100% dei campioni analizzati appartiene alla variante Omicron, al cui interno si distinguono cinque lineage principali BA.1, BA.2, BA.3, BA.4 e BA.5 e diversi sublineage. L’ultima sorveglianza del 13 dicembre ha confermato che BA.5, con una frequenza dell’88,8%, continua ad essere il lineage prevalente nella regione Veneto. Tale prevalenza è in linea con quanto osservato in Italia e in Europa. Il lineage BA.2 è aumentato di 4 punti percentuali rispetto a novembre (6,3%) e ha raggiunto la prevalenza del 10,2%, mentre il lineage BA.4 risulta in calo, passando dal 3,4% all’1% nell’ultimo mese. Tra le varianti definite dall’Oms come “varianti da monitorare”, segnaliamo BQ.1*, raddoppiata nel corso dell’ultimo mese e ad oggi responsabile di più della metà (58%) delle infezioni nella nostra regione, e BA.2.75*, responsabile di circa l’8% delle infezioni e aumentata del 6% nell’ultimo mese. Il significativo incremento di tali varianti è probabilmente associato all’elevata capacità di evadere dalla risposta immunitaria acquisita sia dalla vaccinazione che da precedenti infezioni, anche recenti. La sorveglianza genetica mensile per valutare la prevalenza delle varianti a livello regionale e nazionale si affianca alle attività di sorveglianza settimanali che l’IZSVe svolge costantemente in collaborazione con la UOSD Genetica e Citogenetica – AULSS 3 Serenissima, la UOC Microbiologia – AOUI Verona e tutte le Microbiologie del Veneto. Tale monitoraggio è fondamentale per intercettare la comparsa, l’introduzione o la diffusione di nuovevarianti o di varianti attenzionate per la loro capacità di trasmettersi, di causare malattia o di evadere la risposta immunitaria, fornendo dati preziosi alla comunità scientifica per un rapido adeguamento delle misure di prevenzione da adottare. In questo contesto, la recente impennata di casi di SARS-CoV-2 in Cina rende cruciale il sequenziamento del virus identificato in soggetti provenienti dal territorio cinese al fine di individuare tempestivamente la possibile introduzione di nuove varianti.

West Nile Virus.  Nel 2022 si è sviluppato un vasto focolaio di West Nile in Veneto che ha provocato numerosi casi di malattia neuroinvasiva nell’uomo con alcuni decessi. Gli studi condotti dai ricercatori dell’IZSVe in questi mesi, in collaborazione con importanti centri di ricerca medica del Veneto, e pubblicati su importanti riviste scientifiche, hanno consentito di descrivere l’evoluzione temporale e geografica del vasto focolaio e di individuare il ceppo WNV-1 quale maggior responsabile delle forme neuroinvasive nell’uomo e della malattia nei volatili e nei cavalli. L’attenzione dei ricercatori si è concentrata fin da subito su questo ceppo WNV-1, che è ricomparso nel 2021 dopo otto anni di assenza dal Nord-est e sembra oggi essersi stabilizzato in quest’area geografica. Il ceppo, diverso da quello introdotto per la prima volta nel 2008, rappresenta con ogni probabilità una nuova introduzione con uccelli migratori. Proprio in un recente articolo scientifico i ricercatori hanno confrontato i due diversi lineaggi di WNV presenti nell’uomo, uccelli e zanzare, avvalorando l’ipotesi che i pazienti umani e animali infetti da WNV-1 abbiano un maggior rischio di sviluppare malattia grave.  Per approfondire quali siano le cause dell’evento epidemico del 2022 e poterle contrastare in futuro, sono in corso diversi progetti di ricerca in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità (Iss) e il Dipartimento di medicina molecolare dell’Università di Padova, che comprendono infezioni sperimentali con i due lineaggi di WNV oggi circolanti in Veneto negli insetti vettori, in colture cellulari e in modelli innovativi come gli organoidi.

Rischio alimentare nei molluschi bivalvi: PLASTI@Risk e STOPTTXs.La molluschicoltura e l’acquacoltura rappresentano un settore chiave, sempre più strategico per il futuro alimentare del nostro pianeta. Garantire la sostenibilità e la sicurezza delle risorse ittiche è una sfida per tutta la sanità pubblica veterinaria. L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie si è aggiudicato due progetti di ricerca finalizzata finanziati dal Ministero della Saluteper 900 mila euro sul pericolo conseguente all’ingestione di microplastiche e tetrodotossine attraverso il consumo di molluschi. La presenza di nuove specie di biotossine e la presenza nel mare di materiali di origine antropica come le micro e le nano-plastiche, impegnano i ricercatori nello sviluppare sistemi diagnostici per intercettare al loro sorgere i periodi di criticità dovuti a fioriture algali tossiche e per verificare effettivamente quanto i molluschi bivalvi siano esposti ad accumulare il materiale plastico. PLASTI@Risk mira a produrre una valutazione esaustiva del rischio microbiologico per la salute umana associato all’esposizione a microplastiche (MPs) ingerite attraverso il consumo di molluschi bivalvi filtratori, che permetterà l’individuazione di strategie di mitigazione del rischio. L’obiettivo principale di STOPTTXs è ridurre il rischio di contaminazione da tetrodotossine nei molluschi bivalvi vivi destinati al consumo umano. Le tetrodotossine (TTXs) sono potenti neurotossine che possono contaminare i molluschi bivalvi e l’ingestione di alimenti contaminati può causare gravi danni al sistema nervoso centrale.

Fonte: servizio comunicazione IZSVE

Estate, tornano le zanzare: i cittadini al fianco dei ricercatori nel tracciamento con l’app Mosquito Alert per un controllo efficace dell’insetto, nell’interesse comune e della salute pubblica. All’iniziativa, partecipano l’IZSVe e il MUSE.

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Mosquito Alert è un’app gratuita per i cittadini che vogliano collaborare al piano nazionale di tracciamento delle zanzare “Mosquito Alert Italia”, in un’ottica di scienza partecipata (citizen science), che affianca i cittadini ai ricercatori. A coordinare il progetto, Sapienza Università di Roma, con il coordinamento da parte del Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive, insieme ad altri enti di ricerca nazionali. quali Istituto Superiore di Sanità, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, MUSE – Museo delle Scienze di Trento e Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna.

Altri partner sono i cittadini, che potranno inviare agli entomologi della task force le loro segnalazioni volontarie, tramite l’app Mosquito Alert: scaricandola gratuitamente, il cittadino potrà inviare sia segnalazioni non fotografiche delle punture, che foto di zanzare o di raccolte di acqua stagnante, che possono rappresentare potenziali siti riproduttivi dell’insetto come, per esempio, i tombini. I cittadini più appassionati potranno inviare agli esperti anche gli esemplari di zanzara che riusciranno a raccogliere. Lanciata in Spagna, l’app Mosquito Alert approda in Italia nel 2020. Interessanti i risultati internazionali raggiunti finora, con oltre 200mila download, ma si può ottenere di più. Lo scopo è quello di raccogliere e validare il maggior numero di fotografie di zanzare per mapparne le specie, con particolare attenzione alla “tigre” (Aedes albopictus) e ad altre specie invasive come la zanzara coreana (Aedes koreicus) e quella giapponese (Aedes japonicus), arrivate recentemente nel nostro paese.

Il nostro paese è uno dei più colpiti dalle zanzare in Europa, sia per numero di specie (65 attualmente conosciute) sia per la loro ampia distribuzione e densità sul territorio, considerando soprattutto le specie invasive: controllarle è importante non solo per le loro fastidiose punture, ma anche perché le zanzare sono potenziali vettori di patogeni per l’essere umano (es., virus Dengue e Chikungunya), che possono rappresentare una minaccia per la salute pubblica. Tra le specie di zanzara più pericolose come vettori c’è Aedes aegypti che, attualmente non presente in Italia, richiede una specifica sorveglianza. Occorre ricordare, inoltre, che una massiva presenza di zanzare può danneggiare importanti settori dell’economia nazionale, come quello turistico.

Usare l’app Mosquito Alert è molto facile: per conoscere la specie in tempo reale, basterà fotografare una zanzara e inviare lo scatto, che deve essere di qualità per consentire una valida identificazione della specie, alla task force degli esperti che, sempre tramite smartphone, informeranno l’utente sulla zanzara fotografata ed elaboreranno mappe delle specie presenti sul territorio, utili a gestire e indirizzare le disinfestazioni. Le segnalazioni dei cittadini, una volta validate, verranno inserite nella mappa interattiva sul sito di Mosquito Alert Italia e potranno aiutare a mirare efficacemente gli interventi di controllo. Per non vanificare i risultati delle disinfestazioni in aree pubbliche condotte dagli enti locali, sarà importante sensibilizzare i cittadini anche rispetto alla gestione delle aree private in cui le zanzare potrebbero svilupparsi, come le raccolte domestiche di acqua stagnante.

L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) è un ente sanitario di diritto pubblico che svolge attività di prevenzione, controllo e ricerca nell’ambito della salute animale e della sicurezza alimentare. L’IZSVe è stato di recente insignito del prestigioso riconoscimento internazionale di Laboratorio di referenza WOAH (Organizzazione mondiale della sanità animale) per le micoplasmosi aviarie, che provocano infezioni a carico soprattutto dell’apparato respiratorio e articolare degli animale e possono generare perdite economiche rilevanti per l’industria avicola. Alla direzione del laboratorio è stato nominato il dott. Salvatore Catania, direttore della sezione di Verona dell’IZSVe, che negli anni si è affermata come presidio territoriale per la prevenzione e il controllo delle malattie diffusive del settore avicolo, e ha sviluppato capacità tecniche e scientifiche in grado di far fronte a importanti crisi sanitarie, come nel caso della recente epidemia di influenza aviaria. La nomina, sostenuta dal Ministero della Salute, arriva a pochi giorni dal riconoscimento all’IZSVe del Centro di referenza FAO per i coronavirus zoonotici e porta a 18 il numero dei Centri di referenza nazionali e internazionali che hanno sede all’IZSVe.

Il Museo delle Scienze di Trento (MUSE) svolge attività di ricerca e monitoraggio ambientale, divulgazione e formazione sui temi della natura, società e sviluppo sostenibile. Dal 2010 svolge il monitoraggio della zanzara tigre e altre specie di zanzara nella città di Trento in collaborazione con l’amministrazione comunale e mantiene un allevamento di zanzara tigre in laboratorio aperto al pubblico, usato anche per divulgare le attività di Mosquito Alert. Fin dalle fasi iniziali ha partecipato allo sviluppo dell’app Mosquito Alert, in particolare gli entomologi dell’unità di zoologia degli invertebrati e idrobiologia hanno contribuito allo sviluppo dei contenuti dell’app e al riconoscimento delle specie di zanzare a partire dalle foto scattate dai cittadini e inviate con la app. Il MUSE è impegnato inoltre nello sviluppare, assieme a Sapienza Università di Roma, la parte educativa del progetto proponendo ai docenti delle scuole di ogni ordine e grado corsi di formazione su biologia, ecologia delle zanzare e sull’uso dell’App Mosquito Alert coinvolgendo gli studenti con appositi percorsi didattici che il docente può sviluppare in autonomia o con il supporto degli esperti.

Fonte: servizio stampa IZSVe

 

Pandemia Coronavirus (Covid-19), dal Veneto l’annuncio che in Cina riapre la prima azienda sanificata con macchinari italiani che guardano alla tecnologia aerospaziale

Arriva dall’Italia il primo macchinario esportato in Cina per la sanificazione degli ambienti dal coronavirus, denominato dall‘Oms (Organizzazione mondiale della Sanità) Covid-19: l’importante notizia arriva da Idrobase Group, azienda con sede a Borgoricco, in provincia di Padova ed unità produttiva anche a Ningbo, città di quasi 8 milioni di abitanti nella provincia dello Zhejiang; lo stabilimento nell’Estremo Oriente riaprirà grazie ad una validata (Istituto Zooprofilattico delle Venezie) innovazione italiana che, applicando la tecnologia “state-of-the-art” utilizzata nelle stazioni aerospaziali statunitensi, ha creato un’unità di sanificazione superfici, capace di eliminare, già nei primi 90 minuti di utilizzo, il 95% dei virus presenti nell’ambiente.

Come funziona. “L’innovativo macchinario – annuncia Giovanni Mastrovito, fisico con specializzazione in nanotecnologie e direttore Scientifico di “Pure Air Ion” – non si limita a purificare l’aria, che attraversa il catalizzatore, ma grazie ad un semiconduttore costituito da un materiale a base di particelle di biossido di titanio (di dimensioni inferiori a 100 miliardesimi di metro) genera, a seguito di esposizione alla radiazione luminosa (UV- VIS), coppie elettrone-lacuna (uno dei due portatori di carica, che contribuiscono al passaggio di corrente elettrica nei semiconduttori), che danno luogo a reazioni di ossido-riduzione indotte dal contatto l’acqua (umidità dell’aria) per creare radicali ossidrili e con l’ossigeno per creare anioni superossido. Miliardi di queste specie altamente ossidanti – prosegue Mastrovito – vengono create in miliardesimi di secondo, producendo una cascata di reazioni di ossidazione e diffondendo una fitta rete di molecole (ROS – Reactive Oxygen Species), che sanificano superfici ed ambiente. Attraverso la nuova tecnologia AHMPP (Photo Promotore Molecolare Avanzato Idratato) viene prodotta una coltre di ossidanti che, grazie all’azione di luce ed umidità dell’aria, attiva la decomposizione delle sostanze organiche ed inorganiche nocive: è un fenomeno assolutamente naturale, simile a quanto si verifica durante un temporale.”

Con una ricerca, durata un decennio in aerobiologia ed in biotecnologia, si è sviluppato un sistema di purificazione dell’aria, che utilizza una avanzata foto ossidazione idrata catalitica, che utilizza una tecnologia di nuova generazione (AHMPP), che non si basa su filtri od attraversamento dell’aria attraverso purificatori, ma assorbe e converte la parte dell’energia luminosa in elettroni e lacune di elettroni. La fotocatalisi è il fenomeno naturale, per cui una sostanza, detta fotocatalizzatore, modifica, attraverso l’azione della luce (naturale o artificiale), la velocità di una reazione chimica, imitando la fotosintesi clorofilliana: il suo processo chimico, infatti, è un’ossidazione, che induce la decomposizione delle sostanze organiche e inorganiche.  Gli ossidanti prodotti dal sistema AHMPP sono mortali anche per il coronavirus, ma non danneggiano nè le persone, nè gli animali domestici.

Primato italiano. Tale tecnologia, basata sull’immissione di particelle disgreganti nell’aria, è anche “green”, perché permette un forte risparmio energetico, non utilizzando gli energivori filtri ad alta efficienza. “Come italiani siano orgogliosi di poter annunciare di essere i primi ad avere affinato un know-how, che può rivelarsi determinante nel contenere il diffondersi del pericoloso virus, permettendo un normale ritorno alle quotidiane attività: da quelle lavorative alle domestiche, a quelle scolastiche – commenta Bruno Ferrarese, presidente di Idrobase Group – Il nostro è un tassello di concreta speranza nella lotta mondiale al diffondersi dell’epidemia, permettendo un facile accesso alle necessità di igiene pubblica e diffusa, evidenziate dalla globalizzazione anche delle malattie.”

Fonte: Servizio stampa Idrobase Group

Wuhan novel Coronavirus: come nasce un’emergenza epidemica

L’esistenza di mercati di animali vivi simili a questo in altri paesi asiatici e africani è da lungo tempo riconosciuto come un fattore di rischio per la sanità globale

Erano i primi giorni di gennaio quando hanno iniziato a circolare le prime voci relative ad un cluster di casi di polmonite in Cina. Le somiglianze con il caso SARS sono state lampanti da subito: stessi sintomi, stesso decorso della malattia, stessa correlazione con un mercato di animali vivi. A differenza di quanto successo nel 2002, quando ci vollero mesi prima di identificare la causa dell’epidemia, nel 2020 la scienza ha impiegato solamente 8 giorni a fornire nome, cognome e carta d’identità completa del virus.

Sebbene questo risultato abbia permesso di confermare in tempi record i sospetti degli esperti, la sequenza genetica di quello che oggi è conosciuto come Wuhan novel Coronavirus (nCoV) lascia ancora molti dubbi sull’origine dell’epidemia. Infatti, in natura esiste un’enorme diversità di coronavirus in molte specie di mammiferi ed uccelli. In particolare, ad oggi si conoscono almeno 50 virus appartenenti allo stesso cluster di SARS e di questo nuovo coronavirus che circolano nei pipistrelli rinolofi ma sono considerati innocui per l’uomo.

Perché Wuhan nCoV sta infettando l’uomo? Sebbene non esista ancora una risposta definitiva a questa domanda, i 18 anni intercorsi tra l’emergenza della SARS e oggi ci hanno insegnato diverse lezioni, che hanno sì a che fare con lo studio dei coronavirus ma riguardano anche la dimensione umana delle malattie infettive emergenti. Dal punto di vista virologico, oggi sappiamo che la capacità di infettare l’uomo dipende dalla compatibilità tra le proteine di superficie di un virus e i recettori umani. In parole semplici, un dato coronavirus deve avere la chiave giusta per aprire la serratura presente sulle cellule umane. Da qualche giorno i ricercatori hanno dimostrato come il Wuhan nCoV utilizzi efficacemente lo stesso recettore cellulare umano riconosciuto dal SARS CoV, spiegando quindi come sia stato in grado di infettare l’uomo. Tuttavia, la sorveglianza estensiva nei pipistrelli dal 2005 ad oggi non ha mai identificato virus con capacità simili nel pipistrello, ad eccezione di una sola variante considerata in grado di legarsi debolmente ai recettori umani. Ciò suggerisce che il passaggio diretto da pipistrello a uomo non sia sufficiente a scatenare l’epidemia nell’uomo, sia in passato, sia adesso.

Fattori sociali e culturali: da SARS a Wuhan nCOV. Diversi studi hanno tentato di ricostruire le cause scatenanti l’epidemia di SARS. Tra queste, non sono da dimenticare i fattori sociali e culturali, che si traducono in comportamenti umani profondamente radicati quali la caccia, il commercio e il consumo di animali selvatici, le scarse condizioni igienico-sanitarie dei mercati, la deforestazione e l’urbanizzazione spinta. Tutte queste condizioni, tipiche dei paesi tropicali, contribuiscono ad aumentare di molto i contatti tra diverse specie selvatiche, animali domestici e uomo, fornendo maggiori chances di trasmissione. Inoltre, la commistione innaturale di animali diversi in condizioni di forte stress tipiche dei mercati di animali vivi possono portare alla “creazione” di nuove varianti del tutto inaspettate, come se si trattasse di veri e propri laboratori di virologia. Il fatto che Wuhan nCoV somigli a un virus di pipistrello ma sia, a differenza della maggior parte di questi, in grado di infettare l’uomo è quindi probabilmente dovuto all’infezione accidentale di un ospite intermedio che ha fornito al virus la chiave giusta per entrare. Il passaggio potrebbe quindi essere ancora una volta lo stesso, dal pipistrello ad un altro animale all’uomo. Se il passaggio dai pipistrelli ai dromedari si stima essere avvenuto almeno una ventina d’anni prima dell’emergenza nell’uomo di un altro coronavirus epidemico, agente eziologico della sindrome detta MERS, ad oggi è ancora troppo presto per sapere da quanto Wuhan CoV circolasse e in quali ospiti. La scatola nera potrebbe essere nel mercato del pesce di Wuhan e saranno necessari campionamenti estensivi negli animali presenti per arrivare al nocciolo della questione. Nonostante il nome, è noto come in questo mercato fossero venduti moltissimi animali vivi, appartenenti a specie allevate ma anche catturate dal loro ambiente naturale. Sebbene la Cina abbia oggi bandito temporaneamente questo tipo di attività in risposta all’epidemia, è probabile che i mercati verranno nuovamente aperti una volta calato il silenzio, esattamente come successo nel 2003 a pochi mesi dall’ultimo caso di SARS. L’esistenza di mercati di animali vivi simili a questo in altri paesi asiatici e africani è da lungo tempo riconosciuto come un fattore di rischio per la sanità globale. Come visto, l’emergenza di malattie dal serbatoio animale è per lo più dettata dai numeri, dalla probabilità, ed è pertanto un rischio difficilmente calcolabile e prevedibile. Quindi, puntare il dito contro i pipistrelli e i virus che convivono in equilibrio con i loro ospiti naturali è non solo inutile ma anche dannoso perché distoglie la nostra attenzione dalle uniche cause di queste emergenze sulle quali l’uomo possa intervenire.

Fonte: IZSVe

La rucola protegge dagli additivi chimici delle bottigliette di plastica, a rivelarlo uno studio sperimentale italo-tusino presentato il 2 marzo ad Abano Terme (PD) al convegno di Medicina della Riproduzione

Il problema è noto: è l’utilizzo del bisfenolo-A (BPA), un additivo chimico di origine sintetica che migliora le caratteristiche meccaniche dei materiali che le aziende usano per le bottigliette di plastica, le capsule da caffè, i rivestimenti per alimenti. Dopo un lungo contatto o a seguito di alte temperature il BPA può essere rilasciato nell’alimento ed assunto per ingestione. Gli effetti di questo inquinante ambientale sull’uomo sono studiati da anni. Ad esempio, nel maschio adulto il BPA sembrerebbe capace di compromettere la vitalità degli spermatozoi e di rallentare la loro motilità. Tale evidenze hanno spinto numerose istituzioni di nazioni europee a bandire il BPA dai prodotti per uso pediatrico.

Di fatto, quasi tutti siamo stati esposti a questa contaminazione. Di qui lo studio congiunto che ha visto la collaborazione tra il gruppo del professor Carlo Foresta dell’Università degli Studi di Padova, e quello del professor Kais Rtibi del dipartimento di Fisiologia funzionale e valorizzazione delle risorse biologiche dell’università di Jendouba, in Tunisia. I ricercatori italo-tunisini, coordinati dal professor Carlo Foresta e dai dottori Luca De Toni e Iva Sabović, dopo una analisi chimica molto precisa dei composti contenuti nell’Eruca sativa (quella che tutti conosciamo come “rucola”), condotta nei laboratori dell’università di Jendouba, hanno riscontrato che in questa pianta sono contenute quantità molto elevate di antiossidanti capaci di inattivare i, che alterano le più importanti funzioni cellulari inducendone la morte (apoptosi). Il BPA influenza negativamente le funzioni cellulari, inducendo un’incrementata produzione di “radicali liberi”.

Il convegno aponense. I ricercatori hanno eseguito sperimentazioni su spermatozoi umani esponendoli dapprima a dosi tossiche di BPA, e successivamente al trattamento con l’estratto di rucola a concentrazioni crescenti. L’estratto di rucola si è dimostrato capace di contrastare già a bassissimi dosaggi gli effetti tossici del BPA sulle cellule spermatiche, proprio attraverso l’azione antiossidante. Lo studio sperimentale sarà presentato ad Abano Terme (PD) nel corso del trentaquattresimo convegno di Medicina della Riproduzione, sabato 2 marzo alle ore 16.30, ed è stato recentemente pubblicato dalla prestigiosa rivista internazionale di tossicologia sperimentale “Reproductive Toxicology”, una bibbia per gli addetti ai lavori.

Una ricerca destinata a generare anche importanti ricadute cliniche. Le evidenza il gruppo di studiosi: “Prima fra tutte, ricordiamo l’importanza di una dieta ricca di vegetali nella prevenzione delle patologie del tratto riproduttivo maschile e, a tale proposito, sono in corso studi volti ad identificare la corretta dose giornaliera di rucola”, spiegano. “Inoltre, l’estratto di rucola può rappresentare un vero e proprio presidio nutraceutico per il trattamento dell’infertilità maschile o nella preparazione degli spermatozoi durante le tecniche di procreazione medicalmente assistita: stiamo definendo i quantitativi e le percentuali specifiche”.

Fonte: servizio stampa convegno Medicina della Riproduzione

Influenza dell’alimentazione sulla salute di onnivori, vegetariani e vegani, nessuna differenza se la dieta è ipercalorica e ricca di grassi

Il microbiota intestinale di vegani, vegetariani e onnivori è identico se la dieta è ricca in grassi. È questo il risultato di uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) e finanziato dal Ministero della Salute. La ricerca, pubblicata su Frontiers in Microbiology, aveva l’obiettivo di valutare l’impatto sul microbiota intestinale (l’insieme di tutti batteri presenti nell’intestino) derivante dal consumo di alimenti di origine animale.

Nessuna netta differenza. Sono stati coinvolti 101 volontari normopeso, che seguivano una dieta onnivora, vegetariana o vegana, a cui è stato chiesto di fornire il proprio diario alimentare, per la valutazione della composizione della dieta, e un campione fecale, per lo studio della composizione del microbiota. “Lo scenario osservato è stato sorprendente, in quanto ci aspettavamo di vedere delle differenze nette fra persone che si alimentano in modo così diverso. È apparso evidente invece che l’”etichetta” di vegano, vegetariano o onnivoro non è sufficiente a dare conto dell’impatto della dieta sulla salute”, ha dichiarato Antonia Ricci, direttore sanitario dell’IZSVe e responsabile scientifico della ricerca.

Dieta tipica dell’Occidente. I ricercatori, infatti, utilizzando diverse metodologie hanno provato a differenziare il microbiota degli onnivori da quello dei vegetariani e dei vegani senza ottenere risultati statisticamente significativi. I tre gruppi erano perfettamente sovrapponibili e tra i vegani e i vegetariani non si evidenziava prevalenza di popolazioni microbiche tipiche di un’alimentazione ricca in fibra. L’analisi dei diari alimentari ha rivelato la soluzione del caso. Tutti i partecipanti, indipendentemente dagli alimenti consumati (di origine animale o vegetale), presentavano una dieta ricca in grassi e povera in carboidrati e proteine. Questa tipologia di dieta, tipica dell’Occidente e ritenuta responsabile della planetaria pandemia di obesità, da quanto emerge dalla ricerca provoca cambiamenti del microbiota intestinale che fanno assomigliare i vegani e i vegetariani agli onnivori. Nessuna delle tre tipologie di dieta, per il momento, ha vinto la sfida della salute.

Fonte: Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie

La sicurezza del cibo inizia già da un buon imballo

cibo-imballaggiNel corso della seduta plenaria di ottobre, il Parlamento Europeo ha approvato a nettissima maggioranza, 559 voti favorevoli, 31 contrari e 26 astensioni, una risoluzione con la quale si chiede che vengano applicate nuove e più severe norme per i materiali che vengono a contatto con gli alimenti, in particolare facendo riferimento agli imballaggi, agli utensili da cucina e alle stoviglie.

Solo 4 su 27 sostanze sono armonizzate a livello UE. Attualmente solo alcuni di questi materiali, come le materie plastiche e le ceramiche, sono stati completamente testati per la sicurezza e la salute pubblica, mentre vernici, smalti, inchiostri e adesivi non sono coperti dalle norme UE e devono ancora essere sottoposti a test. «Il regolamento attuale – spiega la relatrice, Christel Schaldemose (S&D, DK) – permette accordi su 17 sostanze, ma solo quattro di queste, al momento, sono armonizzate a livello UE. Il resto è di competenza degli Stati membri. Solo che la mancanza di regole armonizzate provoca problemi per i consumatori, per le aziende e per le autorità”.

Mercato unico solo nel nome. “In realtà, ciò significa che il mercato unico non è un mercato unico: alcuni paesi hanno standard elevati, altri standard bassi. Sappiamo da vari studi che ciò che si trova nella confezione sta causando problemi di salute. L’UE dovrebbe pertanto rivedere la legislazione vigente. La sicurezza alimentare – conlcude Schaldemose – dovrebbe avere lo stesso significato in tutta l’UE”. Da qui la richiesta del Parlamento alla Commissione Europea di specifiche misure comunitarie anche per carta e cartone, vernici e smalti, metalli e leghe, inchiostri da stampa e adesivi.

Fonte: Asterisco Informazioni