
I lavoratori di AFJ Workers Cooperative
(di Marina Meneguzzi) Tra dissesto idrogeologico del territorio e lavoro che non c’è, di emergenze in Italia ne abbiamo tante. Non ultima, in fatto di agricoltura, la lotta tuttora in corso per il prezzo del latte pagato agli allevatori.
Ma in questi giorni, in Africa occidentale, nella Repubblica della Sierra Leone, ci sono anche quattromila contadini in ambasce per il loro futuro, legato alla sopravvivenza dell’azienda Africa Felix Juice (AFJ), fondata alcuni anni fa da un imprenditore italiano a Newton, 40 chilometri dalla capitale del Paese, Freetown, e dedita alla produzione di concentrato di succo di frutta tropicale per esportazione.

Lo stabilimento Africa Felix Juice a Newton
AFJ oggi si trova in grosse difficoltà finanziarie a causa dell’epidemia di Ebola, da poco fortunatamente scongiurata secondo i dati Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ma che, oltre a mietere tante vittime, ha bloccato per un lungo periodo l’economia del Paese africano. I quarantaquattro dipendenti di AFJ, tutti locali, rifiutano però di arrendersi alla chiusura di un sogno in cui hanno creduto e su cui hanno investito tanto lavoro, energie e passione. Così, hanno costituito una cooperativa – l’AFJ Workers Cooperative (AWC), – ed è la prima volta che ciò accade nel Paese per una realtà manufatturiera – chiedendo alla proprietà di diventare azionisti dell’impresa. Per finanziarsi, e aiutare l’azienda ad uscire dalla crisi, hanno avviato un progetto di crowdfunding. Dalla Sierra Leone arriva quindi un appello di solidarietà per aiutare una comunità di lavoratori a rimettere in moto l’economia del Paese, e a dare speranza nel futuro a tanti agricoltori che non vogliono abbandonare la terra natia. Il tempo, in questo caso, è vitale, entro Natale il destino dell’azienda sarà deciso. Oltre a partecipare al progetto di crowdfunding, si può aiutare condividendo la campagna attraverso i social network, oppure parlandone in famiglia, con gli amici o con i colleghi. Tutto per dare ancora una possibilità alla Sierra Leone, all’azienda e ai lavoratori di AWC!
Un progetto di lavoro sostenibile e solidale che ha dato i suoi frutti. A raccontarci in modo più approfondito la storia di Africa Felix Juice è l’imprenditore che l’ha fondata, l’italo-svizzero Claudio Scotto (nella foto a sx mentre spiega l’attività dell’azienda a una scolaresca in visita), quarantottenne con una pluriennale esperienza manageriale in Italia e all’estero, da una ventina d’anni residente a Londra insieme alla famiglia.
Claudio, innanzitutto, può farci conoscere meglio la Sierra Leone?
Oggi è uno dei Paesi più poveri al mondo, in cui vivono circa 6 milioni di persone di diversa etnia, ma durante l’impero britannico ha avuto un ruolo importante. Basti pensare che dalla capitale Freetown, che deve il nome al fatto che è stato il più grande insediamento di schiavi liberati in Africa, per vent’anni l’impero ha coordinato gli immensi territori di Nigeria e Ghana. L’indipendenza del Paese è arrivata nel 1961 e, con essa, un grande senso di ottimismo. Il paese era ricco di materie prime e Freetown era conosciuta per essere l’ “Atene d’Africa”, sede della prima università a Sud del Sahara. Tra shock economici provocati dalla caduta dei prezzi delle materie prime e da una corruzione rampante, la situazione è andata via via peggiorando fino ad arrivare alla guerra civile (1991-2001), che ha generato mostri tristemente noti alle cronache, come i famosi “diamanti di sangue”, la cui estrazione andava a finanziare la guerra, e le mani tagliate agli oppositori dei gruppi ribelli. Con la pace è arrivata la democrazia e l’economia si è risollevata, fino al dramma di Ebola degli ultimi 18 mesi, quando 4000 persone sono morte e il Paese è rimasto paralizzato, quasi in quarantena.
Com’è nata l’azienda?
AFJ è nata nel 2010 su mia iniziativa, volevo realizzare in Africa un lavoro sostenibile e solidale e un prodotto che potesse essere esportato. La mia idea di produrre concentrato di succo di frutta ha trovato il supporto dei proprietari della prima Zona Economica Speciale per l’Export nel Paese (First Step), nonché dei costruttori dei macchinari per la produzione, un’azienda italiana, la Tropical Food Machinery di Busseto, in provincia di Parma. Il progetto è partito grazie anche ad un finanziamento a fondo perduto condizionato da parte del Governo olandese. Da maggio 2011, l’azienda produce concentrato di mango, ananas e papaya destinato al mercato europeo e africano. I clienti sono imbottigliatori in Olanda, Germania, Spagna, Francia, Ghana, Nigeria e Marocco. Dal 2012, l’azienda è certificata SGF, un sistema di controllo qualità specifico del settore succhi operato da un organismo indipendente tedesco, che ha dimostrato come gli standard produttivi possono essere, anche in Africa, gli stessi dell’Europa.
Oltre ai 44 dipendenti, l’azienda dà reddito a circa 4000 contadini, per la maggior parte piccoli (nella foto a dx contadini con papaya gialla). AFJ ha fatto propri i valori di correttezza e rispetto verso i lavoratori. Dunque, abbiamo sempre assicurato pari opportunità nel lavoro, abbiamo bandito il lavoro minorile – sembra scontato ma in Africa non è così – e riservato un trattamento equo ai lavoratori, assicurando loro un salario più alto del 30% rispetto al salario minimo legale.
Quando sono iniziati i problemi?
L’azienda stava superando una situazione difficile – prezzi internazionali bassi del prodotto finito, tasso di cambio sfavorevole, 23% di tasso d’interesse alla banca locale e alcuni problemi iniziali di produzione – quando dalla Primavera 2014 è arrivata l’epidemia di Ebola. Nessuno dei nostri dipendenti per fortuna è stato contagiato, ed anche i villaggi circostanti non sono stati toccati dal virus, ma il Paese ha praticamente smesso di funzionare ed esportare è diventato estremamente difficile. Di conseguenza, il credito bancario è venuto meno e l’azienda si è trovata in difficoltà.
Si aspettava la reazione dei dipendenti?
E’ stata una grande e commovente sorpresa quando hanno chiesto di unirsi in Cooperativa e partecipare alla gestione dell’azienda. Gli altri soci sono stati immediatamente d’accordo. I lavoratori sono stati di grande aiuto per l’impresa, gran parte di loro hanno costruito i locali della fabbrica, e nel tempo è cresciuta la loro professionalità. Dunque nessuno di loro vuole perdere una realtà a cui sentono di appartenere, qualcosa che hanno visto crescere di giorno in giorno, letteralmente.
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